A lavorare ho iniziato a 11 anni. Non in una fabbrica cinese, sia chiaro. Lo preciso perché possiate tirare un sospiro di sollievo, e per non innescare il putiferio di pensieri associativi: sfruttamento minorile, morti bianche, manodopera a basso costo.
A lavorare ho iniziato a 11 anni. E oggi starei meglio in una fabbrica cinese. Almeno i patti sono quelli: sgobbare 25 ore al giorno per una ciotola di riso. Ti assegnano un cubicolo condiviso. Ti dotano degli strumenti del mestiere: ago, filo e colle altamente cancerogene. Con queste ultime puoi anche sballarti, come fanno i teen-ager di mezzo mondo. Che fortuna: vitto, alloggio e droga a costo zero.
Va così in Cina. Non si fa retorica sui diritti umani. Non esiste ipocrisia. Lì non si rischiano incomprensioni tra sguatteri e datori di lavoro.
Per capirci, suggerisco un tour nell’inferno Italia. Nel limbo (scuola elementare) somministrano l’inganno: “Repubblica fondata sul lavoro”. Personalmente, ci credetti. Ahimè. Così fantasticai, e trotterellai: liceo, università, lingue straniere, erasmus, tirocini all’estero. Finita la corsa, fui costretta a lasciare ogni speranza: mi aspettava il girone “mondo del lavoro”. Quaggiù fraudolenza e cupidigia fanno da padrone.
Alla base fioriscono i famosi stage non retribuiti. È dura: si produce tanto, si impara a metà e si muore di fame. Poi gli annunci: “si richiede totale dedizione all’azienda, impegno massimo e serietà”, un pacchetto che vale 100€ di rimborso spese (wow). Piccoli favori si trasformano in impieghi full time: non si vede mai una lira. Ciliegina sulla torta, una pena che prevede l’invio di venti curriculum al giorno. Mediamente le risposte son le seguenti: nessun messaggio in arrivo; nessun messaggio in arrivo; nessun messaggio in arrivo; grazie, ma non hai esperienza; grazie, ma hai più di 25 anni; grazie, ma non hai asservito a nessuna multinazionale; hai presente dove cazzo vivi?; votando quella gente dove vuoi arrivare?; ti garantisco il posto, tu me la dai?; scusa, ma non sei abbastanza stupida.
Impera la frustrazione.
Alla base fioriscono i famosi stage non retribuiti. È dura: si produce tanto, si impara a metà e si muore di fame. Poi gli annunci: “si richiede totale dedizione all’azienda, impegno massimo e serietà”
A differenza della Cina, in Italia si decantano i diritti umani e si dimentica la dignità. Qui un giovane non può ambire nemmeno a una semplice convivenza. Viaggiare e andare al cinema una tantum è proibitivo. Non è consentito fare l’amore senza pensieri, mettere al mondo un figlio, morire lasciando i soldi per pagare il funerale.
Ma io qui non ci crepo mica. Andrò in Cina, dove i cadaveri spariscono e le figlie femmine si ammazzano alla nascita. Almeno non subiranno il triste rito del femminicidio per mano del marito. Amen.
Sì, apro il conto in Cina. Voi fate come vi pare.