Le isole altro non sono che delle porzioni di terraferma completamente circondate dal mare: solitarie e indipendenti o parte di un arcipelago, celano misteri e particolarità che appartengono solo ad esse.
Pedrag Matvejevic, uno dei maggiori studiosi di un Mediterraneo evocativo e letterario, racconta la poliedricità delle isole senza giungere a una nozione che le accomuni tutte. Possono assurgere a luogo di raccoglimento e beatitudine o, al contrario, rivelarsi ambiente ideale per esili e penitenze; alcune ci appaiono belle e seducenti, altre pervase dal terrore e inaccessibili 1. Ogni isola, a prescindere dalla sua dimensione, è un universo a se stante, dove la terra stessa e quel continuo, inevitabile rapporto col mare hanno dato forma a un certo tipo di società, di cultura, di sapere, che si impone in maniera più impellente che nelle terre continentali.
La Sardegna, la seconda isola più grande del Mediterraneo, non si sottrae a questa legge. Qui, elementi vari, a volte contrastanti, si concentrano in un’area infinitamente stretta: 1897 km di coste fanno da cornice a un territorio che si manifesta in un prisma di colori e sapori molto diversi di zona in zona. La morfologia della Sardegna è sorprendente: partendo da un punto per raggiungerne un altro a volte può capitare di imbattersi in più tipologie di roccia. Il mare segna un confine netto, ma non è l’unico. Internamente barriere naturali delimitano la superficie, favorendo l’alternanza mare e montagna, e donando all’isola quella strana essenza che la rende un microcosmo tout-court.
Le distanze qui sono palesemente brevi, eppure, per chi in Sardegna ci è cresciuto, esse risultano immense. Come scrive Marcello Fois, questa sensazione è data dal fatto che nascere in un’isola comprenda un senso limitato dello spazio. Lo stesso scrittore racconta di come, da ragazzo, il percorso da Nuoro a Cagliari (poco meno di 200 km) gli sembrava un vero e proprio viaggio2.
La natura varia e mutevole della Calcidica permette di cogliere esattamente il significato principale del viaggio: guardare ciò che di bello ci circonda, per staccarsi un po’ dalla tristezza della vita, e sentire quanto è grande il mondo interiore di un essere umano, pur nei suoi limiti.
Questo spiega anche parte del carattere dei sardi: quel percepire ogni cosa “lontana” porta a una sorta di pigrizia negli spostamenti, anche perché questi sono legati, storicamente, ad uno sforzo (il lavoro dettava la necessità di muoversi per la transumanza, la vendita ambulante, la pesca al largo); è vitale, invece, l’attaccamento alla propria terra, la quale si sentirà sempre distante una volta varcato il mare; quel mare che divide e allontana, che ha portato tante ricchezze quante depredazioni, e che, per questo, si ama e si teme in egual modo.
L’abitante della Sardegna non può prescindere da tale considerazione dello spazio attorno. Per il visitatore, invece, che avverte l’estensione limitata, scoprire l’immensità di questo territorio è ancora più affascinante. Lo spazio ristretto dell’isola si allarga in quelle ampiezze che danno verso il mare, che dalla punta più alta guardano a valle, che dalla pianura portano lo sguardo verso l’infinito. Sono l’intimità e, allo stesso tempo, la prepotente bellezza dei luoghi della Sardegna che permettono allo “straniero” di sentirsi a casa: ecco perché anche chi non è sardo sentirà l’esigenza di tornare.
La ricchezza del territorio da un punto di vista morfologico, linguistico e delle tradizioni crea piccoli mondi che si distinguono per particolarità, ma che si uniscono agli altri sotto la stessa identità isolana. Selvaggia, primitiva, complessa: la Sardegna è un magico insieme di “isole nell’isola”. Non si parla solo di quelle che la circondano, come l’Asinara, caratterizzata da una biodiversità tutta sua che ne ha dettato le sorti; o l’isola di San Pietro, con un solo centro abitato, Carloforte e il suo dialetto che viene dall’altra parte del mare. No. Un esempio lampante è il territorio montagnino della Barbagia, dove giace, ferma e ferrea come i suoi abitanti, la cima del Gennargentu, bianca di soffice neve durante i mesi invernali. E ancora la natura selvatica, fatta di gole, grotte e ripide altezze, del Supramonte, il più famoso “hotel” della Sardegna, dove se “guardi il cielo tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo”.3
O l’area del monte Corrasi, che si impone calcareo e vibrante arrivando a Oliena. Un altro mondo è la Marmilla, là dove gli occhi rincorrono invano un limite a quella larga distesa collinare. Ci sono poi le montagne ogliastrine che si bagnano nel mare, a strapiombo, creando un contrasto di colori e umori che spalancano il cuore. Mentre le sinuose spiagge del Sinis portano piano verso quel tragico, incantato Sulcis-Iglesiente e le sue miniere abbandonate. Al nord, verso Palau, rocce come disegnate si ergono a controllo dell’isola e le coste frastagliate incutono paura e innamorano insieme; al Sud, il capoluogo, Cagliari, si atteggia a regina e padrona dell’isola, così nobile e misteriosa nelle sue vie strette che portano al castello: è una città che “ha qualcosa del gioiello [..] è come una visione, un ricordo, qualcosa di tramontato4”. Scoprire il paesaggio sardo significa anche conoscerne la storia: esso è puntellato da torri che sopravvivono dall’età del Bronzo. I Nuraghi ci ricordano la grandezza di quest’isola posta al centro del Mediterraneo e son la più viva testimonianza di una civiltà millenaria.
Cos’è la Sardegna? Un distaccamento di terra che si è trasformata, adeguandosi, per farsi lambire dal mare in ogni sua parte? Oppure una terra “comparsa un giorno sui mari dall’acqua, come una perla, ricca di ogni incanto; una dea gloriosa che risplende chiara sopra le acque”5? Non c’è un modo univoco per definirla, per descriverla senza tralasciare qualche sua parte. Della Sardegna si può dire che è femmina, fertile, un’antica madre inverosimilmente fragile nella sua forza primordiale. È una terra dalle esigue ampiezze che profumano di eterno, dove il silenzio regna sovrano e immacolato, perché il frastuono dell’uomo si dissolve dinanzi a tutto ciò che conta: la natura. È leggerezza, come racconta lo scrittore inglese Lawrence che la visitò nel 1921: “la Sardegna è un’altra cosa: più ampia, più dimessa, corre via in lontananza [..] modeste catene di colli, coperte da brughiere, si vanno perdendo, forse, verso un gruppo di cime drammatiche [..] incantevole spazio intorno e distanze aperte: nulla di finito, nulla di definitivo. È come la libertà stessa”6.
La Sardegna, seppur nel suo intervallo di terraferma piccolo e avvolgente come quello della notte, è un sogno. Un sogno.
- 1 Pedrag Matvejevic, Il Mediterraneo e l’Europa, Garzanti, 2008, pp. 35 s.
- 2 Marcello Fois, In Sardegna non c’è il mare, Editori Laterza, 2008, p. 13
- 3 Fabrizio De Andrè, “Hotel Supramonte”, da Fabrizio De Andrè (L’indiano), 1981
- 4 D. H. Lawrence, Mare e Sardegna, La biblioteca dell’identità de L’Unione Sarda, 2003, p. 75
- 5 Antioco Casula “Montanaru”, “A tie Sardigna!”, da Cantigos d’Ennargentu, Edizioni 3T Cagliari, p. 36
- 6 D. H. Lawrence, op. cit., p. 102