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“Chef’s table” è una produzione originale Netflix. Una serie di documentari in cui si parla di cibo in un modo mai sentito prima. Mettendo al centro la natura, le persone e, perché no, la musica. Mostrando che ogni piatto può essere poesia.

C’è chi confonde il mangiare con il nutrirsi. E altri che invece lo elevano ad arte. Così come deve essere. Così come fa Chef’s Table, una serie di documentari targati Netflix dedicati ai più grandi chef del mondo. Una cinepresa puntata sulle loro facce e mani, dritto al cuore. E dentro i loro ristoranti, alla scoperta dell’alta cucina e di ogni piccolo dettaglio che la rende così speciale. Perché ogni stella Michelin, ogni artista del cibo, ogni piatto di questo mondo ne nasconde un altro infinitamente grande. Che Netflix avvolge, in questa splendida creazione che è Chef’s Table, in una musica raffinata. Pronto per essere gustato, vissuto, amato fino in fondo. Per tutti i seguenti motivi.

Uno chef, una persona

Chef’s Table inizia con Massimo Bottura, l’italiano che con la sua Osteria Francescana (Modena) ha stravolto ed elevato il senso del mangiare emilio-romagnolo. L’ha trasformato in poesia, appunto. Al di là dell’abbondanza. Di lui e di tutti gli altri grandi cuochi Netflix mostra forze e debolezze, fallimenti e successi. Il loro cuore prima delle loro abili mani, la forza di una mente che crea. Perché prima che chef sono persone, con passioni e interessi, portati nelle loro tavole per collezionare stelle e per incantare chi lì si sieda. Schizzi di colore saporiti, come Grant Achatz nel suo Alinea, e magia di ghiaccio secco, come Albert Adrià a El Bulli, trasformano un tavolo in un’opera d’arte.

Il legame con la natura e il luogo con Chef’s Table

“Abbiamo bisogno di un luogo”, scrive il paesologo Franco Arminio. “L’animale senza luogo si ammala, ama senza amare, soffre senza soffrire”. In Chef’s Table il luogo è centrale. Quello in cui gli chef sono nati, quello in cui lavorano. E dal quale, soprattutto, traggono ispirazione. Una radice per Magnus Nilsson diventa un modo per scoprire il sapore profondo della sua Svezia. Nelle formiche dell’Amazzonia Alex Atala ritrova la forza dei suoi avi, la loro capacità di trarre vita in ogni cosa della natura, rispettandola. E Ana Roš mostra quanta arte c’è in una fetta di formaggio prodotto nelle campagne slovene. Il cibo è la massima espressione della cultura dei popoli. Nasce in un luogo e ne ritrae l’essenza. E così fanno gli chef più bravi al mondo.

Piatti come arte

“Non conosco niente di più molesto che il ventre vuoto”, dice Ulisse alla tavola dei Feaci. La lotta per la sopravvivenza infatti si combatte prima di tutto col cibo. Ma vivere è molto di più. Anche il banchetto felice dei Feaci infatti si eleva al di là delle carni e del vino quando entra in scena Demodoco. Quando arriva l’arte. Perché è con lei che nutriamo la nostra anima. Questo fa ogni piatto mostrato in Chef’s Table. Un momento al quale si arriva lentamente in ogni documentario. E altrettanto lentamente la cinepresa si muove su di loro. Una danza sensuale su una portata che è più che cibo. E’ il guardare le cose dal profondo, dedicare il momento del pasto alla bellezza. Perché mangiare è vita sopra ogni cosa, è arte.

“Non conosco niente di più molesto che il ventre vuoto“, dice Ulisse alla tavola dei Feaci. La lotta per la sopravvivenza infatti si combatte prima di tutto col cibo. Ma anche il banchetto felice dei Feaci si eleva quando entra in scena Demodoco. Quando arriva l’arte.

La musica e il senso della bellezza con Chef’s Table

Ci sono due versioni di Chef’s Table. Uno per gli chef di tutto il mondo. Si va da Italia a Brasile, da Messico a Patagonia, da Russia a Corea del Sud. L’altra è Chef’s Table France, dedicata agli chef francesi. Tutti però sono uniti dalla stessa materia universale. Oltre al cibo, la musica. Perché la bellezza di questa produzione Netflix è anche qui, nella scelta delle musiche. Rigorosamente classiche. A partire dalla sigla, un estratto dalle quattro stagioni di Vivaldi. L’inverno. Un modo per anticipare che in Chef’s Table si percorrono, appunto, tutte le stagioni e tutti i sapori, ogni angolo di mondo avvolto da un linguaggio in cui tutti si riconoscono. Note messe al posto giusto per risvegliare le emozioni. Perfezione assoluta alla ricerca di un solo senso, quello a cui tutti dovrebbero tendere: la bellezza, la poesia. La vita, quindi, al di là della sopravvivenza.