Pietro e Paolo è il nuovo libro di Marcello Fois
Un’ode all’amicizia e alla Sardegna: ecco il nuovo regalo di Marcello Fois a lettori incalliti
È finalmente in libreria il nuovo libro di Marcello Fois, “Pietro e Paolo” (Einaudi, 151 pagine). Un inno alla brevità e alla forza delle storie. Si intende, quelle che funzionano, che ci costringono a farci domande o danno risposte. E che riescono a farlo anche quando si esprimono in poche parole. A patto che queste siano scelte con cura, collocate con eleganza. “Pietro e Paolo” dice di un’amicizia che unisce due mondi diversi in quell’universo che è la Sardegna. Una terra che si respira, si tocca, si vede tra le pagine di questo piccolo, forte volume.
“Pietro e Paolo”, il titolo, ha un afflato religioso. Sono nomi casuali o vuole scrivere una sorta di parabola moderna su bene e male?
Un po’ ha a che vedere con le due storie evangeliche. Ho girato per il titolo e invece non c’è niente di più classico del nome dei protagonisti. Fa parte della serie di romanzi in cui ragiono sulle questioni che fanno della letteratura qualcosa di più duraturo. Da tempo elaboro l’ipotesi di un classico contemporaneo. Un po’ il libro lo è: un insieme ben costruito, per quanto breve. Un romanzo inattuale e classico, ma poi non lo è. È al rovescio.
Infatti i capitoli in “Pietro e Paolo” sono al contrario: si parte dal 16, si arriva allo 0. Questa scelta ha un legame con la narrazione?
I capitoli sono il countdown della distanza che Pietro percorre da Lollove per arrivare a Nuoro per incontrare il suo amico d’infanzia Paolo. Più si avvicinano, più la storia va avanti, più i capitoli vanno indietro, fino a 0 quando sono insieme nello stesso posto. Così l’indice è al rovescio. Questo è un innesto contemporaneo in una struttura classica. Ci sono molti moduli in un’opera apparentemente breve, che è più difficile. Io sono un assertore della storia: la trama è importante, come lo è la scrittura. Ci vogliono entrambe.
Pietro è povero ma fisicamente forte, Paolo ricco ma più debole nel corpo. Uno stereotipo o una metafora?
È un topos letterario, la storia del principe e il povero. La letteratura si nutre di letteratura, poi è il talento a fare la differenza. I protagonisti hanno due ambiti diversi, ma la discriminante è nella loro visione del mondo, non nella forza fisica. Poi, quando cambiano le cose, conta la capacità di adattarsi. Pietro è più attrezzato, Paolo ha la tendenza a funzionare meglio nel suo mondo. È attrezzato da un altro punto di vista, però. In realtà non è debole.
In “Pietro e Paolo” racconta una storia che si svolge Otto e Novecento sino alla Grande Guerra. Cosa ha rappresentato il primo conflitto mondiale per i giovani sardi?
È una mia piccola ossessione, perché non abbiamo chiara la nostra storia patria. Proseguiamo per stereotipi. Prima siamo stati terra di sfruttamento, poi fornitori di soldati, poi di poliziotti, poi di veline. Faccio finta di raccontare la Prima Guerra Mondiale, in realtà racconto una tendenza costante del nostro mondo.
Il personaggio femminile, Lucia, è delicata come soffio di vento. Quale ruolo le ha voluto ritagliare?
Uno importantissimo. È il territorio dove i protagonisti esercitano il sentimento. La sentimentalità di Pietro, più carnale, è diversa da quella letteraria di Paolo. Pietro è il corpo, Paolo la testa: insieme sono un uomo. Sono appena ventenni, eppure hanno visto molta vita: si diventava adulti in un’età diversa da oggi. Era una notizia che mi premeva dare anche da insegnante. La letteratura ci riguarda, deve aiutare a mangiare, vestire, votare meglio.
In una Sardegna selvaggia Marcello Fois, 59 anni, ha ambientato il suo nuovo romanzo: Pietro e Paolo (Einaudi).
Nel libro ci sono Nuoro, Lollove, Orgosolo. Insomma, i posti del sogno della sua giovinezza: quanto conta il luogo nella narrazione?
Conta tutto. Boccaccio scrisse che il vero scrittore si riconosce dalla capacità che ha di descrivere i luoghi. Il romanzo è un potente meccanismo: puoi sentire gli odori, assaporare, toccare. È l’ambiente che mi aiuta a costruire questa poli-sensorialità. Non si scrive solo quello che si vede. Quello è riprendere, ma non è la mia arte. La mia è letteratura.