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La trappola: io non sono razzista, ma…

Se l’avete finita a leggere quest’articolo, è perché il titolo vi ha ingannato. La trappola può aver agito in due modi diversi:

  1. Credete che chi ha scritto il testo sia razzista, un cane, un bastardo della peggior specie e volete proprio vedere che cosa si cela dietro quel piccolo, rivelatore, ipocrita “ma”;
  2. Siete razzisti nel profondo dell’anima, ma vi hanno insegnato a essere moralmente corretti e, quindi, a nascondere tali sentimenti; avete dunque cliccato perché cercate un aiuto a esprimere il vostro punto di vista razzista senza essere definiti razzisti e quel piccolo, simpatico “ma” fa proprio al caso vostro.
La trappola del “io non sono razzista, ma..” ha agito su entrambe le tipologie di persone descritte sopra perché:
  1. La sottoscritta non è razzista, ma è una paraculetta. Mi diverto così tanto a leggere la frase “io non sono razzista, ma” seguita da una serie di giustificazioni che non starebbero in piedi nemmeno se fatte di cemento armato che ho voluto farne il titolo di un mio post.
  2. Siete affetti da razzismo, cercavate qualcuno che la pensasse come o meglio di voi per pulirvi prima del rito domenicale e quel “ma” faceva al caso vostro.

Beh, i secondi son cascati male. Vediamo se i primi, invece, saranno d’accordo con me (vi vorrei un po’ partecipativi).

Dagli immigrati al razzismo il passo è breve.

Il solo fatto di post-porre la particella avversativa “ma” a una frase come “io non sono razzista” rivela già che lo siete. Se non lo foste, non avreste bisogno di elencare le numerose ragioni che vi portano a odiare persone che stanno semplicemente peggio di voi.

Le enormi ondate migratorie che si stanno infrangendo sulle coste italiane e greche, senza che il resto d’Europa muova un dito, son decisamente mal interpretate da molti (che sareste voi, definiti in questo articolo col numero 2). C’è chi, su questa tragedia umanitaria, ci marcia e i mass media fanno la loro parte: gli immigrati vengono descritti come una minaccia alla pulizia e perfezione definita dai nostri confini (ma dove?); circolano notizie false su alcune loro pretese in denaro oppure, all’esatto opposto, sul fatto che si lamentino dei comfort forniti loro; si pensa che arrivino qui completamente informati della situazione che li aspetta, perché siamo nell’era di internet e nelle baraccopoli africane ogni catapecchia è fornita di router ultramoderno; si diffonde piano, piano un po’ di clemenza verso i siriani che possono chiedere lo status di rifugiato, ma guai se arrivi qui senza famiglia, perché vuol dire che al tuo paese stavi da Dio e non ti dovevi permettere di venir qui, a rubarci, magari, il lavoro nei campi di pomodori dove c’è la fila di italiani per lavorare sotto il sole cocente di agosto. Eh già.

Ma guai se arrivi qui senza famiglia, perché vuol dire che al tuo paese stavi da Dio e non ti dovevi permettere di venir qui, a rubarci, magari, il lavoro nei campi di pomodori dove c’è la fila di italiani per lavorare sotto il sole cocente di agosto. Eh già.

No al razzismo! Sapete che gli esseri umani son tutti uguali?

Per natura, o per stupidità, non riesco a non vedere la disperazione negli occhi di ogni singolo uomo, donna, bambino che arriva sulle nostre coste dopo una traversata spesso letale; così come non riesco a non vergognarmi, da essere umano, quando mille persone muoiono in mare in un colpo solo. La questione è molto semplice: credo che il luogo in cui nasciamo, o il colore della nostra pelle, o i vestiti che portiamo, o la persona che decidiamo di scoparci non debbano influire sul fatto che siamo esseri umani tutti uguali. Ho provato a descrivere tale immenso groviglio di sensazioni in un articolo che ho scritto per la rivista Mediterranea online e che potete leggere cliccando qui. Sperando di non sembrare incazzosa come chi odia ‘sti poveracci di immigrati, vi auguro buona lettura e mi auguro tanti commenti, per stimolarmi e stimolarci! Promesso?

Anche se, in effetti, “Tra mare e terra le promesse affondano”